venerdì 27 febbraio 2015

L'urlo animale









La parola a Barbara, con la sua gentilezza e la sua forza resistente.L'intervista è il risultato sia di email, che messaggi, che di una lunghissima telefonata.


(Una chiacchierata con Barbara Bacca)

QUANDO E' NATA LA TRASMISSIONE?

COME E' NATA?



La prima puntata dell’Urlo Animale è andata in onda a giugno del 2011. Qualche mese prima, parlando con Michele Calabrese, mio caro amico nonché Direttore di Radio Live Music, gli chiesi: “Perché non inserite nel vostro palinsesto una trasmissione che parli seriamente degli animali, dei loro diritti e che informi la gente su tutte quelle realtà che vengono taciute dai media? È vitale che qualcuno dia voce a questi innocenti”. Lui mi rispose semplicemente: “Perché non la fai tu?”.

Così partì la “cantierizzazione” dell’UrloAnimale



PERCHE' E' NATA? COME SI PUO' ASCOLTARLA?


La conoscenza rende liberi e la nostra conoscenza può liberare e salvare milioni di creature innocenti. Viviamo in un mondo che per tutelare gli interessi economici ci ha indottrinato alla mercificazione e alla brutalizzazione della vita e ha sistematizzato questa mercificazione rendendocene veicoli perfetti e spesso inconsapevoli, a causa della nostra superficialità e della nostra scarsa inclinazione all’approfondimento.

Il rispetto per gli animali non umani è anzitutto una questione di civiltà e di dignità personale e in quanto tale deve prescindere dalla simpatia o dall’antipatia per queste creature. Sento l’esigenza di urlare questa verità sacrosanta e lo faccio ogni martedì, a modo mio. Per ascoltare L’UrloAnimale è sufficiente collegarsi al sito www.radiolivemusic.com/radio. In Calabria e in Basilicata andiamo anche in FM su Radio Antenna Jonica (90 MHz). La diretta è il martedì alle ore 20,00 mentre la replica viene trasmessa la domenica, sempre alle 20,00.

 




QUALI SONO LE LINEE GUIDA CHE HAI PENSATO PER PREPARARE, IDEARE E CONDURRE LE PUNTATE DELLA TRASMISSIONE?
 

Sin dall’inizio mi sono posta come imprescindibile obiettivo l’informazione senza compromessi e senza complimenti. L’impostazione delle singole puntate è molto flessibile in quanto varia a seconda degli argomenti specifici. A volte leggo dei testi scientifici, brani di narrativa, altre volte riferisco episodi di cronaca e/o ne intervisto i protagonisti. In generale, l’unica regola fissa è denunciare e dire la verità in modo documentato e verificabile. Questo anche perché sono consapevole del fatto che il martirio, il maltrattamento e lo sfruttamento degli animali si crea degli alibi fondati sulla menzogna. Il mio obiettivo è smascherare queste bugie e mettere in luce la realtà e le miserie morali che l’hanno prodotta: l’avidità, la perversione, la superficialità…e molti altri elementi che sono esclusivamente e assolutamente negativi. Quando è possibile preferisco dare spazio alla viva voce della cronaca e della scienza, intervistando gli esperti e in generale i protagonisti diretti delle vicende che tratto.





COME HAI SCOPERTO LA VIVISEZIONE? E OGGI, COME AFFRONTI QUELLO CHE RAPPRESENTA?

 Il mio primo incontro-scontro con la vivisezione risale alla seconda metà degli anni ’70. Ero ancora bambina ma essendo molto curiosa leggevo spesso anche la stampa dedicata alla cronaca. Un giorno mi capitò fra le mani un numero de L’Europeo, settimanale che i miei genitori acquistavano regolarmente. Sfogliandolo mi imbattei in un articolo agghiacciante, corredato di fotografie altrettanto spaventose che mostravano alcuni gatti con degli elettrodi impiantati nel cranio e lo sguardo terrorizzato. Chiesi a mia madre di spiegarmi le ragioni di quell’orrore. Fu un giorno drammatico per me. Ricordo ancora che indossavo un paio di pantaloncini neri con degli scacchi blu e che stetti a lungo a pensare a capo chino, guardando quegli scacchi e pensando al terrore che avevo letto negli occhi dei gatti martoriati. Ad oggi nulla è cambiato, salvo l’abilità dei vivisettori di mistificare la verità. Ora che vi sono maggiori strumenti divulgativi ed una maggiore consapevolezza da parte di una buona fetta della popolazione, chi mente deve affinare le proprie tecniche di marketing menzognero, proprio per tutelare e mascherare i propri interessi.

La vivisezione o sperimentazione animale indigna da secoli molte menti e molti animi illuminati ma, ancora oggi, essa regna immobile (nell’immobilismo!), coltivando sapientemente l’ignoranza attraverso la demagogia. È un esempio del potere e dell’arroganza del dio denaro, del suo culto abominevole, del carrierismo accademico fondato sulla menzogna. La lobby vivisezionista è un’associazione a delinquere che non si lamenta delle accuse documentate che le vengono mosse: non ne ha la necessità in quanto detiene un potere mediatico ed economico enorme, di cui i politici – con poche e rare eccezioni - sono dei consapevoli vassalli. A fronte di ciò, cerco anzitutto di essere un consumatore responsabile: in quanto vegana, rifiuto sempre e comunque di consumare o utilizzare prodotti, farmaci, calzature o capi di abbigliamento la cui realizzazione abbia implicato - a qualsivoglia livello - la sofferenza e in generale lo sfruttamento di animali. In secondo luogo, sia attraverso la mia trasmissione, sia nel quotidiano, mi impegno ad informare le persone con cui mi interfaccio.

Essere attivi anche in questo senso è fondamentale e credo possa agevolare la capillarità dell’informazione.


 
L'ANTIVIVISEZIONISMO SCIENTIFICO HA SVELATO LA 'NUDITA' DELL'IMPERATRICE', ORMAI NON DOVREBBERO ESSERCI PIU' ALIBI PER CONTINUARE A SOSTENERE IN MANIERA CREDIBILE LA PRATICA VIVISETTORIA. INFATI, LE METODOLOGIE CHE IMPIEGANO SISTEMI CHE NON COINVOLGONO ANIMALI, ESISTOBO, NON SONO NE' POCHI NE' MARGINALI, E SOPRATTUTTO SONO IMPLEMENTATI E OPERATIVI, A VARI LIVELLI, IN MOLTI PAESI DEL MONDO.COSA NE PENSI? COME SI PUO' FARLI CONOSCERE ALLA GENTE NORMALE, DISTRATTA E FRETTOLOSA?



Il riferimento a “Imperatrice Nuda” di Hans Ruesch è quanto mai azzeccato. L’Imperatrice, ossia la vivisezione, è sì nuda ma, come dicevo poc’anzi, non si cura dello sdegno suscitato dal fatto di essere stata abbondantemente smascherata da anni. Mantiene una spietata e beffarda arroganza, affidando la propria sopravvivenza alla menzogna, alimentando l’ignoranza attraverso i propri mastodontici apparati. Noi antivivisezionisti non possiamo sperare di scalzare la disinformazione partendo “dall’alto”. La mia convinzione personale è che sia necessario creare ed espandere un canale diverso. Io credo che un’informazione efficace debba tener conto di alcuni aspetti fondamentali: il poco senso critico delle persone, la loro pigrizia e l’abitudinarietà. Nel caso della vivisezione, la controinformazione si scontra con un gigante mediatico dalle lunghe mani, sostenuto da finanziamenti e poteri di dimensioni titaniche. Per questa ragione dobbiamo partire dal basso, coltivando la capillarità e la pazienza. Dobbiamo anzitutto documentarci, in modo da giustificare e dimostrare la bontà delle nostre parole. Alla forza mediatica e alle menzogne dei vivisettori e dei vivisezionisti dobbiamo rispondere con pacatezza, fermezza e competenza e cercare interlocutori nella nostra cerchia: parlare col vicino, coi parenti, gli amici. 




I PREGIUDIZI, I PENSIERI AMBIVALENTI, LE NEGAZIONI DELLA REALTA' DELLA VIVISEZIONE, DA PARTE DELLE PERSONE COMUNI, SONO UN OSTACOLO MOLTO RESISTENTE. QUANTO E COME POSSONO BASTARE LE ESPOSIZIONI DEI METODI COSIDDETTI ALTERNATIVI, O CRUELTY FREE? L'ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA, L'ANTIVIVISEZIONISMO ETICO, CHE USA ARGOMENTI LEGATI ALL'EMPATIA, AL RISPETTO, CHE TIPO DI EFFICACIA HA SECONDO TE? E COME POTREBBERO LAVORARE INSIEME LE DUE ARGOMENTAZIONI?pER ESEMPIO, IO PENSO CHE FINCHE' GLI ANIMALI VERRANNO CONSIDERATI DAL PENSIERO COMUNE SOLO COME DEGLI OGGETTI, SARA' COMPLESSO CONVINCERE DELLA VALIDITA' DEI METODI CRUELTY FREE. L'EMPATIA POTREBBE AIUTARE A CAMBIARE IL MODO DI PENSARE AGLI ANIMALI: NON PIU' OGGETTI, MA INDIVIDUI DESIDEROSI DI VIVERE LIBERI E SENZA SOFFRIRE?
 

Nei giorni scorsi la conduttrice de Le Invasioni Barbariche, Daria Bignardi, ha ospitato in trasmissione Caterina Simonsen, la ragazza gravemente malata che si è resa testimonial della campagna pro-test. Nel corso dell'intervista la ragazza ha fatto delle affermazioni assolutamente imprecise dal punto di vista scientifico ed ha al contempo rivolto pesanti insulti nei confronti di coloro che si battono contro la pratica della vivisezione. 

La conduttrice, che con le proprie affermazioni ha palesato a propria volta una grave ignoranza sull'argomento, non è minimamente intervenuta per contenere gli insulti nei confronti degli antivivisezionisti.

La salute dell’essere umano è l’argomento principale con cui i sostenitori della vivisezione cercano i consensi della popolazione e quindi le donazioni per le diverse associazioni. Noi dobbiamo scavalcare il disinteresse nei confronti degli animali e concentrarci sulla confutazione della validità scientifica della vivisezione. Diversamente daremmo manforte ai discorsi demagogici e scientificamente insostenibili studiati per fare presa sulla gente. La compassione è qualcosa che si impara col cuore, non con la mente e quand’anche la sperimentazione animale fornisse risposte realmente trasponibili sull’uomo (MA NON E’ E NON POTRA’ MAI ESSERE COSì), eticamente rimarrebbe inammissibile. Nessuna persona indottrinata si lascerà commuovere semplicemente sapendo che gli animali sono esseri senzienti. In svariate interviste da lui rilasciate il dott. Silvio Garattini, Direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, definisce l'antivivisezionismo sostanzialmente come l'azione irresponsabile degli animalisti, omettendo totalmente, in dette interviste, di toccare le ragioni scientifiche di tale posizione. I pro-test e tutto l’apparato vivisezionista/vivisettore cercano di squalificare l’antivivisezionismo e di distogliere l’attenzione dalle inconfutabili prove scientifiche della sua fallacia. 






DOCUMENTI COME I DIARI DI MICHELLE ROKKE HANNO RACCONTATO DALL'INTERNO, CON GRANDE CORAGGIO, LE DINAMICHE QUOTIDIANE NEI LABORATORI DI VIVISEZIONE. PENSI CHE FARLE CONOSCERE ALLA OPINIONE PUBBLICA POSSA ESSERE UTILE, EFFICACE? IN CHE MODO?  pER ESEMPIO, NELLA INDIFFERENZA, E SUPERFICIALITA' DEGLI ADDETTI, HO RAVVISATO ATTEGGIAMENTI - GIA' ANALIZZATI ANCHE DA ANNAMARIA MANZONI - DI CRUDELTA' GRATUITA E NON FINALIZZATA, COME ACCADE NELLE CARCERI E COME HANNO DIMOSTRATO FAMOSI ESPERIMENTI DI SOCIOPSICOLOGIA (PER ES. ZIMBARDO). DA QUI AL SADISMO DI LUOGHI COME GUANTANAMO - CON TUTTO QUEL CHE CI STA IN MEZZO  E CHE PASSA PURE PER L'ITALIA - IL PERCORSO E' ABBASTANZA BEN TRACCIATO ....



Le indagini sotto copertura sono fondamentali. Ho letto i Diari di Michelle Rokke e credo che mai avrei avuto la sua forza di sopportare ciò a cui lei ha assistito. Nessuno che abbia un cuore sensibile può leggere certi testi senza esserne segnato profondamente. Nulla, neppure la scienza (ma la sperimentazione animale, lo ribadisco, è una falsa scienza) potrebbe mai giustificare le atrocità che vengono compiute ogni giorno nei laboratori di vivisezione. La compassione è la dote più elevata che l’animo umano possa avere, fondamentale per la crescita della civiltà e per il progresso morale. Il rispetto per la vita e per le sue diverse identità è un requisito imprescindibile per chi voglia dirsi persona giusta e umana. Come sempre, l’informazione è fondamentale. Io sono fermamente convinta che certi testi dovrebbero essere divulgati e inseriti nei programmi didattici delle scuole. Non dobbiamo infatti pensare unicamente ad arginare e contrastare le menzogne dei vivisettori e dei vivisezionisti; dobbiamo cercare di formare degli uomini dall’animo compassionevole e disposti a cercare ed esigere la verità. 


TU DIMOSTRI CORAGGIO E COSTANZA NEL TUO IMPEGNO, CHE CON BELLISSIMA MODESTIA DEFINISCI 'PICCOLO'.DOVE TROVI LA FORZA DI PROSEGUIRE?PENSO ALLA IMMAGINE DI CUI ABBIAMO PARLATO, DELLA SCIMMIA OLTRAGGIATA CON UN TATUAGGIO INSULTANTE SULLA FRONTE. MI HANNO COLPITO LE TUE PAROLE: "E' LA DELICATEZZA CHE VIENE OLTRAGGIATA".COME E' POSSIBILE CHE QUESTO ACCADA? E CHE COSI' POCHE PERSONE NE RIMANGANO INDIGNATE? (I PIU', PREFERISCONO NEGARE, MA INTANTO GIRANO LO SGUARDO ALTROVE...).


La delicatezza oltraggiata: 'crap' significa 'merda'



Confermo di ritenere che il mio contributo sia piccolissimo. La mia trasmissione è un input. Il contributo più concreto è quello di chi scende in piazza con costanza, portando la propria voce in mezzo alla gente, cosa che purtroppo, per svariati motivi, io non sempre posso fare. C’è una grande verità: ognuno di noi ha grandissime potenzialità per contribuire fattivamente alla lotta contro la vivisezione e per i diritti degli animali ma lo sfruttamento di tale potenziale si scontra spesso con un ostacolo, un nemico invisibile quanto potente: il pessimismo. Personalmente mi scontro ogni giorno con questo nemico. Non so dire se sono forte; sono senz’altro resistente. “L’Urlo Animale” è la mia ancora di salvezza, il microfono a cui mi aggrappo per sentirmi meno impotente dinanzi allo scempio di cui sono vittime i miei fratelli animali. L’essere umano ha un dovere morale imprescindibile: quello di crescere nel cuore e di imparare a custodire la vita in ogni creatura. Anche in questo caso torno a sottolineare il sommo valore della compassione: imparare a guardare il mondo in scala ridotta, a guardare il minuscolo insetto che sosta per qualche istante sulla manica della nostra t-shirt prima di riprendere il volo, a interrogarci sui perché, sui dove e i quando e i come. Come fanno i bambini quando si interrogano sulla vita. Perché essa è ovunque e cammina e respira ad ogni altitudine: dentro la terra, sulla terra, nel mare e nel cielo. Se non pone mente a questo, la nostra esistenza individuale è destinata ad una povertà estrema e rinuncia all’infinità di meraviglie e di stupore che ci viene donata gratuitamente ogni giorno nel creato. A testimonianza di ciò porto un semplice esempio personale: Ella, il mio cane, ha fatto di me una persona migliore. Ogni giorno nei suoi occhi vedo una dolcezza che insegna, un’istintiva saggezza che mi parla di un mondo più evoluto a cui lavorare. Dobbiamo lavorarci insieme, raggiungendo il cuore della gente, perché il muscolo più forte ed importante è proprio il cuore.



 
Ella e Barbara

Il diavolo nella bottiglia

Disegno di Guido Scarabottolo. Fonte. Prìncipi e Princìpi

Il Diavolo nella Bottiglia è un breve racconto di Robert Louis Stevenson.
Con una lingua che narra coi ritmi della favola - e che della favola contiene tutto l'incanto e tutto il terrore e l'orrore - è la storia del giovane Keawe, della sua sposa Kokua, del suo amico Lopaka, e - naturalmente - del piccolo demonio rinchiuso nella bottiglia panciuta color latte.
Fa parte del periodo dei racconti dei mari del Sud, dove Stevenson andò a vivere, e dove ambiento questi racconti dalla penna felice e dal largo respiro salmastro di un mondo così diverso e così lontano dalla sua natìa Scozia.

Stevenson con la famiglia e alcuni amici a Upolu, Samoa

Quali impressioni può produrre un racconto così breve, che può sembrare così lungo, nell'immaginazione di un bambino, devo ancora terminare di scoprirlo. Di sicuro, è iscritto per intero nelle mie memorie infantili, e lo lessi e rilessi decine e decine di volte, senza stancarmene mai, sempre col batticuore. Ogni volta la lettura ricominciava da capo smemorata, fino al finale, che riportava un sempre rinnovato sollievo - ma un sollievo impuro, non del tutto soddisfacente, ché Keawe alla fine trova scampo, ma in tutta la sua giovane vita, non ha rifiutato di prendere insieme il buono col cattivo - come lui stesso dice - dal diavolo. E la sua salvezza ha il prezzo della dannazione di un altro individuo - per quanto apparentemente spregevole e già dannato in terra.

Fonte: Schooner Martha Foundation


Il racconto è arioso come il mare luccicante, è luminoso come un grande quadro appeso in una veranda sulla spiaggia, tra i giochi di luciombre delle tende e delle palme coi raggi del sole e il riverbero delle onde.

Tutto inizia con una casa, poi continua grazie all'amore -per una donna, per la libertà, per l'avventura - e si conclude col sacrificio e molti momenti di quell'angoscia che forse si può provare solo affrontando una condanna in vita, per una malattia.

La luce e la gioia e il canto però sono gli elementi che gareggiano contro le ombre, le notti paurose, i rimorsi e i tremori in bilico sulla dannazione infernale.

Bellezza e poesia, lacrime e amore, dedizione e disperazione; infine la pace dei giorni, nella grande Casa Splendente.

(...)  una bottiglia panciuta, dal collo lungo; il vetro era di un bianco latte e aveva nella grana i colori cangianti dell’arcobaleno. E, dentro, qualcosa si muoveva oscuramente, come un’ombra e un fuoco.

...


 Ora, la casa stava sul fianco della montagna, visibile alle navi. Sopra, la foresta correva su nelle nuvole piovose: in basso, la lava nera formava scogliere dove erano sepolti i re dei tempi antichi. Intorno alla casa fioriva un giardino multicolore; e c’era un orto di papaia da una parte e un orto di albero del pane dall’altra; e proprio davanti, verso il mare, era stato drizzato un albero di nave che portava una bandiera. Quanto alla casa, era alta tre piani, con grandi sale ciascuna con spaziosi balconi. Le finestre erano di vetro, così perfetto che era chiaro come acqua e lucente come il giorno. Mobili di ogni tipo arredavano le stanze. Sui muri erano appesi quadri con cornici dorate; quadri di navi e di uomini in battaglia, e delle donne più belle e di uomini singolari; in nessun posto al mondo esistono pitture di colori così vividi come quelle che Keawe trovò appese in casa sua. Quanto ai bric-à-bracs erano straordinariamente belli: orologi a carillon, organetti, pupazzi che muovevano la testa, libri pieni di figure, armi di valore di ogni parte del mondo, e i giochi di pazienza più sofisticati per impiegare l’ozio di un uomo solitario. E poiché nessuno vorrebbe vivere in simili stanze, ma solo percorrerle per ammirarle, i balconi erano stati costruiti così larghi, che un villaggio dell’interno avrebbe potuto viverci in delizia; e Keawe non sapeva quale preferire, se il portico posteriore, dove si godeva la brezza di terra e si vedevano gli orti e i fiori, o il balcone sul davanti dove si poteva bere il vento del mare e guardar giù per la ripida muraglia della montagna e vedere la Hall passare press’a poco un volta la settimana fra Hookena e le colline di Pele, o gli schooners bordeggiare lungo la costa per legna, ava o banane.

...
 

 – Io sono un uomo di parola, – disse Lopaka – ed ecco il denaro qui fra noi.
– Benissimo, – replicò Keawe – sono curioso anch’io. E allora, via, lasciate che vi diamo un'occhiatina, signor Diavolo.
Ora, appena ebbe detto ciò, il diavolo sgusciò fuori dalla bottiglia, e vi rientrò di nuovo rapido come una lucertola; e Keawe e Lopaka se ne stavano lì come impietriti. La notte era ormai fonda, prima che uno dei due trovasse un pensiero da esprimere o voce con cui esprimerlo; finalmente Lopaka spinse il denaro verso Keawe e prese la bottiglia.
– Io sono un uomo di parola, – disse – ed è per te un fortuna che lo sia, perché altrimenti non toccherei neanche con i piedi questa bottiglia. Bene, avrò il mio schooner e un dollaro o due per me; poi mi libererò di questo diavolo il più presto possibile. Perché, a dirti la verità, vederlo mi ha alquanto abbattuto.
– Lopaka, – disse Keawe – pensa di me il meno peggio che puoi; so che è notte, che le strade sono cattive, che il sentiero presso le tombe è un brutto luogo da percorrere così tardi, ma ti dico che da quando ho visto quella piccola faccia non potrò mangiare, dormire o pregare finché non l’allontanerò da me. Ti darò una lanterna e un cesto per metterci la bottiglia e qualunque quadro o bell’oggetto nella mia casa ti piaccia; ma vattene subito a dormire a Hookena con Nahinu.


...

 
 E qui accadde un fatto strano: non appena si rese conto del miracolo l’animo dentro di lui mutò, e non gli importava più del morbo cinese, e abbastanza poco di Kokua; non aveva che il solo pensiero di essere legato al diavolo per il tempo e per l’eternità, e non aveva altra speranza che quella di essere per sempre cenere fra le fiamme dell’inferno. Lontano, davanti a lui le vedeva avvampare con l’occhio della mente, e l’anima sua inorridiva e un’ombra gli velò la luce del giorno.
Quando Keawe tornò in po’ in sé, si ricordò che quella era la sera in cui la banda suonava all’albergo. Si recò là, perché aveva paura di restare solo


...

 
 Ora, ecco cosa accadde ai due: quando erano insieme, il cuore di Keawe era tranquillo; ma non appena restava solo cadeva in un incubo pieno di orrore, sentiva le fiamme scoppiettare e vedeva il fuoco rosso ardere nel pozzo senza fondo.

...

 
 Quanto a Keawe, s’era tolto un peso dall’anima; ora che aveva diviso il suo segreto e aveva qualche speranza di salvezza davanti a sé pareva un uomo nuovo; i suoi piedi andavano leggeri sulla terra e di nuovo respirava con piacere. Però il terrore stava sempre al suo fianco e come il vento spegne una candela la speranza moriva in lui, e vedeva le fiamme balzare e il fuoco rosso ardere all’inferno.

...

 Kokua nascose la bottiglia sotto il suo holoku, disse addio al vecchio, e se ne andò per il viale senza badare a dove andava. Perché tutte le vie erano ormai uguali per lei, e portavano egualmente all’inferno. Un po’ camminava e un po’ correva; un po’ gridava forte nella notte e un po’ giaceva nella polvere presso l’orlo della strada e piangeva; tutto quel che aveva udito sull’inferno le tornava in mente; vedeva le fiamme avvampare e sentiva l’odore del fumo, e la sua carne raggrinzire sui carboni.

...

 – Cosa voglio dire? – gridò il nostromo. – Questa è una bottiglia non male, questa; eccovi quel che voglio dire. Come l’ho avuta per due centesimi non riesco a capirlo; ma vi garantisco che non l’avrete per uno.
– Volete dire che non la venderete? – balbettò Keawe. – Nossignore, – gridò il nostromo. – Ma vi darò un sorso di rhum, se volete. – Vi dico, – fece Keawe – che chi ha quella bottiglia va all’inferno.
– All’inferno dovrò andarci comunque, – replicò il marinaio; – e questa bottiglia è per quel viaggio la miglior compagnia che abbia trovato finora. Nossignore! – gridò di nuovo – questa bottiglia ora è mia, e voi potete andare a pescarvene un’altra.
 

– Sarà mai vero questo? – esclamò Keawe. – Nel vostro interesse, vi prego, vendetemela!
– Me ne infischio di quel che dite, – rispose il nostromo. – Credevate che fossi uno sciocco; ora vedete che non lo sono, e basta. Se non volete un sorso di rhum lo berrò io. Alla vostra salute, e buonanotte a voi!
Così se ne andò via giù per il viale verso la città, e con questo la bottiglia se ne esce dalla storia.
Ma Keawe corse da Kokua leggero come il vento; e fu grande la loro gioia quella notte; e grande, da allora, è stata la pace dei loro giorni nella Casa Splendente.

mercoledì 25 febbraio 2015

Davanti al macello



"La nostra vita, non è nostra. Da grembo a tomba, siamo legati ad altri, passati e presenti. E da ogni crimine e ogni gentilezza, generiamo il nostro futuro.

Le conseguenze della vita di un individuo si spandono per tutta l’eternità.", è il messaggio di Sonmi, il clone servente della mangeria, che con queste parole cambierà il mondo dove vive.


"Tutti i confini sono convenzioni, in attesa di essere superate. Si può superare qualunque convenzione, solo se prima si può concepire di poterlo fare. In momenti come questi sento chiaramente battere il tuo cuore come sento il mio e so che la separazione è un’illusione. La mia vita, si estende ben oltre i limiti di me stesso", scrive Robert Frobisher al suo amato Sixsmith.


Sono due frasi molto significative che alcuni importanti personaggi protagonisti del film Cloud Atlas dicono a un certo punto della loro vicenda.

Soprattutto quando si parla di confini da superare e di gentilezza - opposta al crimine -  capace di generare il futuro, potrebbero essere frasi che moltissime persone che si battono per mutare il destino degli altri animali - gli animalisti, gli attivisti, insomma - direbbero o sottoscriverebbero di slancio.
Tra di loro, di sicuro, Rita Ciatti e Eloise Cotronei, due ideatrici dell'azione NOmattatoio, che organizza presidi davanti al macello di Roma, da ormai quasi tre mesi. Presto, ci sarà il terzo.


D - COME E QUANDO NASCE QUESTA CAMPAGNA?

Mangiare carne è una pratica talmente consolidata e considerata “normale, naturale, necessaria” – per usare le tre N di cui parla Melanie Joy - che è veramente difficile far riflettere le persone sull’intero processo e le pratiche di violenza che si nascondono dietro questa abitudine culturale. La campagna nasce quindi dall’esigenza di dare visibilità a questi luoghi, i mattatoi – generalmente posizionati lontani dai centri abitati e rivestiti da una patina di disarmante anonimato – dove vengono uccisi circa  
53 miliardi di animali all’anno: migliaia ogni giorno; difficile calcolare il numero esatto, considerando che poi stiamo parlando solo di animali terrestri, esclusi i pesci.
Siamo rimaste molto colpite da quanto stanno facendoalcuni attivisti in Canada, esattamente a Toronto, in prossimità dei mattatoi: filmare, fotografare e talvolta portare un minimo sollievo – come dissetare e rinfrescare in estate – agli animali che arrivano stremati e terrorizzati dentro i tir, così abbiamo deciso che era arrivato il momento di fare qualcosa di simile anche in Italia. 

Il primo presidio è stato organizzato lo scorso dicembre e da allora la campagna è andata sempre più strutturandosi con modalità e finalità ben precise.



D - E' VERO CHE è UNA CAMPAGNA CHE NASCE DALL'INIZIATIVA DI SINGOLI INDIVIDUI, E NON E' IL FRUTTO DI UN'AZIONE DI ASSOCIAZIONI ORGANIZZATE? COME MAI QUESTA SCELTA? QUALE E' IL SENSO?

Sì. Il motivo per cui abbiamo preferito non coinvolgere le varie associazioni animaliste è prettamente strategico e riguarda soprattutto il contenuto di ciò che vogliamo comunicare all’esterno.
Innanzitutto vorremmo che l’attenzione si concentrasse sui veri protagonisti, loro malgrado, della campagna: le vittime di questo che non esitiamo a definire un vero e proprio olocausto, ossia gli animali; poi riteniamo che il problema di come trattiamo, sfruttiamo e abusiamo degli animali non riguardi soltanto gli “animalisti”, ma la società intera, e che quindi sia giunto il momento di responsabilizzare la collettività. È sbagliato pensare che sia necessario amare gli animali per occuparsi e preoccuparsi del loro destino: sono individui senzienti che abitano il pianeta insieme a noi e, in sostanza, il loro rispetto è una mera questione di giustizia. Un problema politico e sociale, non di preferenze o passioni individuali. Credo che tutti, come ha scritto una nostra amica in un cartello che ha portato durante i presidi, dovremmo interrogarci sul perché porteremmo volentieri i nostri figli a vedere come si coltiva la frutta, ma non avremmo mai il coraggio di mostrargli cosa avviene dentro i macelli. C’è un paradosso in questa pratica che da una parte viene considerata legittima e “normale” e dall’altra l’esigenza di occultarla alla collettività.





 Consideriamo poi che il lavoro che viene svolto dentro i mattatoi è alienante e psicologicamente devastante anche per gli addetti alle varie mansioni di s-montaggio dei corpi degli animali. Un lavoro che degrada e distrugge nello spirito altri individui che raramente scelgono di svolgerlo, ma piuttosto vi sono costretti per necessità.
Perché abbiamo scelto proprio il mattatoio: non soltanto perché è il luogo dove vengono uccisi più animali rispetto a qualsiasi altro, ma anche perché simbolicamente rappresenta proprio il fulcro del loro sfruttamento.
Durante questi presidi noi ci poniamo come semplici testimoni di chi purtroppo non viene ascoltato e non perché incapace di manifestare dissenso o ribellione – ormai sappiamo con certezza che gli animali sono consapevoli della loro schiavitù e si rendono totalmente conto di quanto stia loro accadendo –, bensì perché si preferisce rimuovere o persino negare la loro sofferenza o persino esistenza. Sembra assurdo eppure un gran numero di persone non si è mai chiesto da dove provenga la fettina che si mette nel piatto.


CHE SCOPI VI PROPONETE?

Lo scopo primario quindi è quello, per usare come metafora la famosa citazione di Lev Tolstoj, di rendere trasparenti le pareti dei macelli, così che sempre più persone potranno riflettere sui meccanismi sottesi alla produzione di quella che chiamiamo – con un’astrattezza terminologica volta a rendere assente il referente animale inteso come singolo individuo – semplicemente “carne”;

QUALI OBIETTIVI?

L’obiettivo è quello di arrivare a una partecipazione sempre più consistente – e già al secondo presidio siamo andate benissimo, considerando che erano presenti più di duecento persone – e di riuscire a coinvolgere anche attivisti di altre realtà italiane o, perché no, addirittura estere –, i quali potranno organizzare altri presidi di fronte ai mattatoi delle loro città; sarebbe molto utile creare una sorta di rete di attivisti capaci di organizzare presidi nello stesso giorno in più città; tutto questo ovviamente al fine di destare l’attenzione dei media per avviare un serio dibattito pubblico sulla liceità dello sfruttamento e uccisione degli animali e per responsabilizzare le persone sull’importanza di una corretta e trasparente informazione: solo chi è pienamente informato può compiere scelte davvero libere e consapevoli.



 CHE TIPO DI STRATEGIE AVETE SCELTO?


Le strategie sono finalizzate a informare e sensibilizzare. Quindi portiamo su strada striscioni, cartelli o altri materiali che mostrano quanto avviene agli animali dentro ai mattatoi, alternati ad altri che li mostrano liberi e affrancati dal dominio umano, come dovrebbe essere in natura, se solo non fossimo tutti viziati di antropocentrismo. Non accettiamo comportamenti aggressivi o misantropi, non andiamo davanti ai cancelli del mattatoio per insultare i macellai o sulla strada per inveire contro chi mangia carne, siamo lì, come detto sopra, per mostrare alla collettività cosa si nasconde dietro la normalità e persino banalità – la famosa “banalità del male” di cui scriveva la Arendt – della fettina di carne. Chiediamo ai partecipanti di incanalare il dolore del trovarsi di fronte a un luogo tanto tragico in atteggiamenti costruttivi e nonviolenti.




LA DEFINIRESTE UNA MODALITA' DI LOTTA NON VIOLENTA, SECONDO QUANTO HA SCRITTO GANDHI?

Sì, certamente. Noi scendiamo in strada con i nostri corpi, armati solo di cartelli, striscioni - e al massimo un megafono per fare qualche lettura -, al fine di rappresentare altri corpi, quelli di tutti gli animali condotti al macello.

COME SONO ANDATI I PRESIDI FINORA?

Finora direi molto bene. Al primo presidio, quello di dicembre, erano presenti un’ottantina di partecipanti, compreso l’inaspettato arrivo di una persona che si è trovata a passare di lì per caso e ha voluto unirsi a noi; il secondo direi che andato ancora meglio: fuori da ogni aspettativa quel giorno, nonostante il maltempo, si sono uniti a noi quasi duecento attivisti.


Presidio di dicembre, 1


Presidio di gennaio, 2

Presidio di gennaio, 2

le foto dei presidi sono di Marco Cioffi e Andrea Cavalletti


 CHE COSA CONTERRA' IL NUOVO SITO E COME SI COLLEGHERA' ALLA OMONIMA PAGINA SU FACEBOOK?

Da poco abbiamo un sito ufficiale che si chiama Nomattatoio . org in cui abbiamo voluto spiegare innanzitutto in cosa consiste il progetto e che poi abbiamo intenzione di tenere aggiornato di tutte le nostre attività; sul sito poi ci sono i vari collegamenti alla galleria di foto dei presidi, alla pagina Facebook (quotidianamente aggiornata con immagini e riflessioni) e all’account twitter. Più in là lanceremo anche degli eventi virtuali, dando alla campagna una visibilità sempre più massiccia sui vari social. Ci teniamo a ringraziare i due amici che ci hanno creato il sito e che sono Francesca Giannone e Daniele Calisi. Nonché le tante persone che ci danno suggerimenti, consigli e aiuti concreti. Le cose da fare sono tante, siamo partite dal nulla, ma speriamo che la campagna piano piano acquisisca sempre più una sua identità e funzionalità strategica.


IL RAPPORTO TRA IMMAGINI DI ANIMALI LIBERI E FELICI CONTRAPPOSTE A IMMAGINI DI ANIMALI PRIGIONIERI E INFELICI. COSA PENSI DI QUESTE DUE MODALITA' DIFFERENTI? COME LE CONFRONTERESTI, DAL PUNTO DI VISTA DI DIFFERENTI CONTESTI E SPERATI RISULTATI CHE SI POSSONO OTTENERE IMPIEGANDO DUE TIPI DI IMMAGINI COSI' DIVERSE?












Ecco, hai colto nel segno. Sia sulla pagina Facebook che sui cartelli che portiamo ai presidi abbiamo consapevolmente scelto di alternare immagini di animali sofferenti dentro ai mattatoi – in attesa di essere uccisi, mentre vengono sgozzati e fatti a pezzi, costretti e ammassati sui tir durante il loro primo e ultimo viaggio – ad altre in cui vivono liberi nel loro habitat o magari finalmente al sicuro in uno dei vari santuari che ospita animali salvati dai macelli o da altre situazioni di sfruttamento. Questo perché siamo convinte che solo raccontando la verità su chi siano questi individui che vengono uccisi nell’indifferenza più totale – ossia individui senzienti, intelligenti, capaci di provare una ricca gamma di emozioni e sentimenti – sarà possibile smuovere un minimo le coscienze e far riflettere sulla profonda ingiustizia della realtà dei mattatoi.
Quindi da una parte gli animali come sono e come dovrebbero rimanere, ossia liberi e rispettati – in un totale superamento della discriminazione di specie – dall’altra come, purtroppo, vengono ridotti a causa di meccanismi impliciti e sottesi a una logica di dominio che sarebbe ora di iniziare a decostruire. 










Uccidere e sfruttare gli animali non ci eleva al di sopra di loro; al contrario, ci preclude ogni possibilità di conoscerli e ci rende ciechi di fronte all’alterità. Un’alterità che è sempre arricchimento e mai sottrazione.    


Rita Ciatti e Eloise Cotronei



martedì 24 febbraio 2015

L'estate dei morti viventi

La copertina del libro


Un libro a tratti caotico, costipato di questioni cruciali, mescolate in atmosfere horror, con non poco cruento e crudele splatter, grand-guignol.
"Estate dei morti viventi", etichettato come giallo svedese, che tanta fortuna porta agli editori nostrani, è di sicuro un thriller, ma ha una tematica profonda e complessa per le corde che (ci) tocca, difficile da trattare con la parola scritta, col rischio sempre costante di diventare sgradevole, sopra le righe. Perché è una storia che - sotto e oltre le vicende avventurose o macabre vissute dagli eterogenei personaggi -  parla soprattutto del nostro pensare la morte, dei nostri modi di elaborare il distacco,  di vivere e sopravvivere alla separazione estrema - che possiamo accettare o rifiutare, a dispetto della sua irrefutabilità; di convivere con il lutto, con il definitivo.

In breve, la sinossi
Stoccolma è sull'orlo del caos. Dopo un'ondata di caldo torrido, in città si è creato un campo elettrico di grande intensità. Le lampade non si spengono, gli apparecchi elettrici non si fermano, i motori continuano a girare. Poi si scatena un'emicrania collettiva. Si diffonde la notizia che negli obitori i morti si stanno risvegliando. C'è un giornalista, il cui nipote è appena stato seppellito, che si chiede se anche i morti sotto terra stiano riaprendo gli occhi. E un'anziana signora, in attesa del funerale del marito, che sente bussare alla porta in piena notte. E ancora, un uomo disperato che prega Dio di riportare in vita la moglie. Ma poi quando i morti tornano, cosa vogliono? Quello che vogliono tutti: tornare a casa. E riaverli con sé, non è esattamente come ci si aspettava.

Ci accorgiamo che il 'nostro' congiunto non è più lui, che quel corpo di carne in disfacimento è ormai un simulacro. Che la scintilla che lo ha rianimato sembra essere qualcosa di molto diverso dal calore della vita che lo impregnava 'prima'. Il soffio vitale? L'anima? Un 'qualcosa' che è davvero il 'chi' che noi amavamo e che è del tutto diverso dal corpo che abitava? O meglio: che ne era una parte amalgamata e incastrata, ma che ora, rientrata dopo il primo strappo, non combacia più, né potrebbe farlo? I quesiti, i dubbi, anche strazianti, l'amore che sopporta ogni follia e si riplasma alle allucinazioni più estreme, si rincorrono e si riverberano come echi in una stanza, retrocedono e riavanzano come onde sulla spiaggia. Forse è vero che l'istante della morte coincide con la separazione di questo 'spirito' (fluido? essenza?) vitale e vivificante dal corpo di carne, che infatti sussulta e che subito dopo ci appare come un estranea scultura di materia molle. Una cosa che 'assomiglia', che ha il viso di chi amavamo, ma che non è lui, e dalla quale anzi corriamo il rischio di farci raggirare; che corre il rischio di trasformarsi presto in un grottesco.

Fatto sta che i morti sono ritornati, e non mangiano i vivi, se non quelli che accettano di farsi divorare i sentimenti, la speranza, la lucidità mentale, ma anche la prudenza, l'egoismo.
I morti viventi sono la quintessenza dell'estraneo, dell'altro, di un alieno che ci fa paura e contro il quale dobbiamo alzare muri, e verso il quale sentiamo il bisogno di dichiarare guerra. 

Sven-Eric Liedman è un accademico svedese. Esiste realmente e nel libro appare in pagine cruciali, che lasciano il segno.
Questioni del nostro rapporto con l'altro. L'altro più estremo è il morto, il defunto: ha oltrepassato un confine estremo e definitivo, forse il confine di tutti i confini. Ma è un confine? O non piuttosto un passaggio? Un cambio di stato?
Sempre in quelle pagine  la filosofa Rebecca Liljewall- personaggio fittizio - ne parla, con rigoroso pragmatismo e insensibile freddezza e distacco - di chi ha già deciso 'cosa' siano i defunti, e quali siano le barriere 'giuste' da innalzare, e quale sia il destino che sia legittimo infliggere a chi è rimasto al di là della barriera.


La solidarietà deve sempre essere diretta verso ‘uno di noi’, e ‘noi’ non può significare tutti gli esseri umani… ‘noi’ presuppone che qualcuno sia escluso, qualcuno che appartiene agli altri, e questi altri non sono animali o macchine, ma esseri umani.
Sven-Eric Liedman – VEDERE SE STESSI NEGLI ALTRI (p.237)

I MORTI POSSONO AIUTARCI? Di Rebecca Liljewall, professore di filosofia all’università di Lund
… possibilità di rintracciare le condizioni basilari della vita, cosa prima inimmaginabile. Gli stessi criteri etici usati per i pazienti ‘normali’ possono essere applicati ai morti viventi?
La legislazione in vigore dà una risposta chiara a questa domanda: no.  Una persona dichiarata morta è al di fuori dell’ambito della legge, fatta eccezione per la dissacrazione delle tombe. […].
Con tutta probabilità, a breve la legislazione verrà modificata per includere anche i morti viventi. Può essere cinico, ma durante questo intervallo di tempo esiste la possibilità di effettuare esperimenti e test che più tardi saranno proibiti. Io sono del parere che i medici dovrebbero essere incoraggiati a sfruttare questa occasione.
Le eventuali sofferenze  che saranno provocate ai morti viventi devono essere messe in relazione ai vantaggi che si possono ottenere per l’umanità. (p-240,241)

Vera Martinez, infermiera all’ospedale di Danderyd, Svezia, nel reparto dei morti viventi.
“(C’è stato un notevole avvicendamento di personale). Tutti quelli che al momento lavorano lì, sono stati mandati da agenzie. Nessuno di noi ce la fa più. Appena c’è un gruppo di morti viventi in una sala è come se … non ce la facciamo. Per via dei pensieri, di quello che si prova. Cerchiamo di pensare e agire con gentilezza, ma alla fine non reggiamo più. (p.242)


 Alttri personaggi, si interrogano in altre maniere, e lasciano fluire nei loro pensieri il dolore e l'amore fusi insieme dal ricordo di quello che fu.

[il cuore] Solo un muscolo nel corpo di un essere umano. Un granello di sabbia nel tempo. E il mondo era morto. […] . Davanti a lui era steso il suo futuro, tutte le cose che aveva immaginato non esistevano più. Lì c’erano gli ultimi (12) anni del suo passato. Era tutto svanito e il tempo si era trasformato in un’entità insopportabile.
[…] “…Non è giusto. Non può essere vero. Ti amo […] Non posso vivere senza di te. […] Nulla è possibile senza di te. Ti amo talmente che tutto questo non può essere vero”.
(p.32)

[…] inizio a urlare. Un urlo senza fine, finché non ci fu più aria nei suoi polmoni. (p.33)

Ogni volta che guardava (i suoi oggetti) provava una fitta di dolore, ogni volta pensava che … .  (p.40)

Non giocheremo mai più.
…] aveva continuato a ripetersi l’elenco delle cose che non sarebbero mai più avvenute […] Ma eccone un’altra. Più crudele. […] era scomparsa la sua voglia di giocare.
Era per questo che non riusciva  a scrivere, era per questo che la pornografia non lo eccitava, ed era per questo che i minuti passavano così lentamente. Non riusciva più a fantasticare, a inventarsi cose. Doveva essere uno stato di grazia riuscire a vivere solo con quello che c’è e che si ha davanti agli occhi, senza voler dare al mondo un’altra forma. Avrebbe dovuto essere così. Ma non lo era. Aveva perso l’iniziativa … senza alcuna gioia. (p.41)

Secondi, minuti … in un secondo nasciamo, in un secondo siamo morti .  (p.43)

La capacità sensitiva è difficile da descrivere, da captare, tanto quanto la percezione di un profumo. (p.49)

“Cosa succede quando si muore?”
“Si va da qualche parte”
“Da qualche parte dove? In cielo?”
“Il cielo è soltanto un nome che abbiamo dato a qualcosa che non conosciamo affatto. È soltanto … un luogo diverso”
“… un’anima. Dobbiamo averla. Non è possibile che tutto quello che siamo, tutta la consapevolezza … possa dipendere soltanto da …. Dall’esistenza di questa massa di carne e ossa … no, no e poi no. Non posso accettarlo”. (/p.69,70)

Molte volte aveva immaginato (Eva) morta. Aveva cercato di immaginarla. No, non proprio così.  Molte volte il pensiero di (Eva) morta lo coglieva d’improvviso
 Così.  Perché queste cose succedono, i giornali le scrivono tutti i giorni. […] . E D aveva pensato. Una vita che gira a vuoto: abitudini, obblighi, forse a poco  a poco una briciola di luce proveniente da qualche parte. Ma ora che era successo, provava il peggior dolore che avesse mai potuto immaginare.. (p.220,221)

Esiste  il… pensiero?
Anche se (Elias) era morto … […]
Un seme può rimanere inerte per centinaia, migliaia di anni. Essiccato o congelato in un ghiacciaio. Mettetelo nella terra umida e germoglierà. C’è una forza. La forza verde che porterà al fiore. Qual è la forza che agisce nell’essere umano? […]
La forza verde che porterà al fiore. Non è così ovvio. Tutto è uno sforzo, un lavoro. Un dono. Non può esserci tolto. Non può esserci restituito.. (p.235


Quasi in controcanto alla filosofa, alcune persone comuni, ma in realtà speciali e notevoli per altre caratteristiche - non eccellono nella speculazione razionale, ma hanno elevate doti di empatia - elaborano altre riflessioni. Che non possono non far correre il pensiero a quello che sono gli (asltri) animali nella nostra società.

(La società può essere giudicata soltanto dal modo in cui tratta i più deboli”, Flora).
 Maja: “è forse mai esistito un gruppo più debole dei morti? Quando è stata l’ultima volta che hai sentito dire che i morti hanno rivendicato i propri diritti? I  morti non hanno diritti e il governo può fare esattamente quello che vuole con loro. Hai letto l’articolo di quella specie di filosofa?” (p.258) […] “Una volta identificato lo sbaglio, si deve fare qualcosa per rimediare. Non appena si verifica qualcosa di nuovo, si tratta di capire chi ha il potere e come lo usa”.

I morti vengono segregati in un ghetto, e qui, al riparo dagli sguardi della popolazione civile, vengono definitivamente rimossi, diventano cose, oggetti, del tutto assoggettati al potere di chi ha deciso per loro la nuova sorte del dopo-morte. Un Nulla, un'attesa, e poi, raptus di violenza subita e in seguito lunghissimi momenti di esistenza da 'animali da esperimento', cavie, da sottoporre a resezioni e mutilazioni.

Quel quartiere … ogni granello di sporco era stato rimosso intorno alle case e nell’aria aleggiava un intenso odore di disinfettante. Gli appartamenti erano stati rimessi in ordine, ripuliti, ai morti viventi erano stati preparati luoghi dove abitare, ma non erano altro che nuove tombe. Rimanere seduti immobili e fissare i movimenti meccanici per l’eternità. L’inferno.  (p.299)

Contro tutto questo, avverranno delle azioni, si verificheranno degli eventi - l'etica: tutto quel che si può fare non è detto che debba anche necessariamente e obbligatoriamente venire fatto.

Il ricordo (la metafisica?):

La somma dei ricordi, quando tutto il resto svanisce nell’istante della morte.

Capì il perché della sepoltura. La preparazione […] quel conforto che le sole parole non avrebbero potuto dargli.  (p.326,327)

“è stata colpa mia. Sì, perché ho pensato …. Quello che ho pensato…… e quando l’ho pensato lei…” (p.328)


Infine, qualcosa che assomiglia a una aspirazione - speranza - visione  spirituale, afflitta da una dose invincibile di dolore e senso di vuoto.


… la fiamma di una coscienza tremolò … e scomparve.
“sì, sì. Ma adesso devo andare”
“no, no. Non puoi andartene”
“Ci rivedremo. È soltanto questione di qualche anno. Non aver paura”
(p.369)

(tutti i ricordi e le realtà) divennero un puntino.
Se mi ami… lasciami andare
(p.370)

Non avere paura. Amore. Io sono qui
Ci rivedremo, amore mio, presto.
Ti penserò sempre

Poi lo lasciò andare
(p.377)


L’ESTATE DEI MORTI VIVENTI
JOHN AJVIDE LINDQVIST 
2008
MARSILIO, VE – P .380
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